Theodore è impiegato in una società in cui scrive lettere per persone sconosciute. Sta divorziando dalla moglie che non riesce a dimenticare e quando scopre il nuovo sistema operativo OS la sua vita muta abitudini. Inizia a trascorrere giorno e notte a contatto con una voce femminile in grado di ragionare e consigliare proprio come un essere umano. Il suo nome è Samantha e anche lei inizia a sviluppare dei sentimenti, condizionati da quelli fortemente malinconici di Theodore. Del resto, lei è l’unica con cui poter parlare in qualsiasi momento del giorno e della notte e l’unica con cui condividere qualcosa d’intimo e profondo. Ma lei non può dimostrarsi fedele in eterno, la sua natura sintetica e anche un po’ umana, non lo permette.
Dentro il filtro piacevole della commedia, Spike Jonze, ambientando il suo nuovo film in una Los Angeles del futuro asettica, dimostra quanto quella realtà di finzione presente nel film sia già installata nelle nostre vite, combattute e condizionate dalla nuova tecnologia che tutto assorbe e a nulla sembra ricondurre. Persone che come automi, ad ogni modo ancora sensibili, isolati nella babele metropolitana, condividono a distanza senza vivere. La loro voglia di vivere è intrappolata dentro i meccanismi del consumare tutto e subito, senza pretendere più di poter avere. Il che potrebbe essere un aspetto positivo, ma questo finisce per isolare l’individuo dentro un regno del virtuale che a lungo andare finisce per determinare le scelte di una vita. Una vita, quella di Theodore, fatta di disperata solitudine, fra giochi, lettere e poca prospettiva per un futuro vitale; un Theodore che ha le fattezze di Joaquin Phoenix, un attore che sta crescendo a livelli vertiginosi e che qui offre nuovamente un’interpretazione indimenticabile, accompagnato dal grande lavoro vocale di Scarlett Johansson, lei (her), la voce di Samantha che allieta la nuova vita di lui, poi da Amy Adams, amica sensibile ed eccentrica di adolescenza che si lascia inglobare dalla novità, da Olivia Wilde e Zoe Saldana, in due piccoli e incisivi ruoli.
Jonze confeziona così, non solo il suo film più grande ma anche quello più geniale, per certi versi epocale, in grado di guardare ad un futuro che è già presente, con smalto brillante e ridente cupezza (sottolineata dalle musiche della grande band canadese The Arcade Fire e dal genio del talentuoso, canadese anch’egli, Owen Pallett).
“Her” sembra fare sua l’opinione per la quale l’amore è dato dal potere di darne l’illusione. L’illusione di luci e colori sfumate, di quel poco che resta filtrato sulla pelle dei giorni andati eppure ancora presenti.
In una scena del film, Her, in grado di gestire la posta elettronica di Theodore, gli consiglia di fare una bella pulizia di contatti inutili e di tenersi soltanto quelli utili, attivi. Quelli con cui condivide qualcosa in più di una semplice corrispondenza, ossia le cosiddette amicizie. Detto da una presenza anonima, non fisica, può far pensare a quanto in realtà le macchine si siano fatte fisico e il fisico, macchina. Ma Her alludeva forse al Facebook del prossimo futuro presente?
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