Stanley Kubrick è un genio. Su questo non credo ci sia più nulla da eccepire. Alex Infascelli è stato sempre ammaliato dalla figura del grande regista americano e quando guardava alcune sue foto aveva la sensazione che Stanley potesse essere un suo parente. Quando Alex è venuto a conoscenza del fatto che Stanley aveva un autista e fattorino privato italiano con il quale ha collaborato per circa 30 anni dall’anno in cui era impegnato a girare Arancia meccanica e senza il quale Eyes Wide Shut non sarebbe mai stato girato, ha trovato subito il modo per incontrarlo e mettere mani su un’incredibile quantità di materiale. Esiste un libro che testimonia l’incredibile amicizia , fatta anche di pressanti richieste ed invasione della privacy, tra un genio e un uomo comune e preziosissimo ed è “Stanley Kubrick e me. Trent’anni accanto a lui. Rivelazioni e cronache inedite dell’assistente personale di un genio”, autori Emilio D’Alessandro (sì, è proprio lui il migliore amico di Stanley) e Filippo Ulivieri. Attingendo a piene mani da tanta stupefazione, ricca di aneddoti spiritosi, malinconici, lungimiranti, tristi come le insopportabili fini di amori lunghi una vita, Infascelli riesce a dipingere in modo particolarmente sentito un ritratto d’uomo e d’amicizia coinvolgente, robusto, affascinante, un vero e proprio viaggio negli appunti, nelle incessanti richieste, nelle segrete dell’arte di questo incredibile e magnifico regista. Incredibile è la vita di Emilio, che con occhi lucidi, e noi con lui, vede crescere un’alchimia che diverrà presto incapacità di distaccarsi – mentre la moglie soffre vociando – e fatica nel dirsi persino ciao. E il miracolo che riesce a compiere questo meraviglioso documentario è quello di rivelare la magia del cinema, del grande immenso cinema, attraverso gli occhi comuni di Emilio, lo stupore di una persona comune che si è avvicinato davvero al cinema di Kubrick, vedendo per intero i suoi capolavori soltanto dopo la sua morte, per poi apprezzare più di tutti soltanto il film che Stanley detestava di più, ovvero Spartacus. Ma Emilio, quando a inizio anni ’90 dovette salutare una volta per tutte Stanley, per motivi familiari, prese a tenere la testa bassa e con la testa bassa non si campa a lungo. Di questo Stanley, che rivoleva Emilio accanto a sé, ne era a conoscenza. D’altronde, non necessitava di Emilio soltanto sul set, ma anche in casa, la sua villa era piena di animali da tenere sotto controllo, ma anche di utensili e macchine verso le quali il genio del cinema non era propriamente un genio dell’utilizzo. Questi bisogni, la forza e questo calore sono pienamente espressi nel film. Basterebbero le innumerevoli fotografie a dimostrarlo, se non ci fosse anche il volto di Emilio a rivelare un altro libro aperto ancora, forse, da scrivere.