Bisogna liberare il bambino che è in noi, togliergli la rete in cui lo abbiamo ingabbiato. Tommaso è un attore che sogna di fare un film tutto suo, un film fatto di sogni, come quelli che fa, frazioni rivelatorie dei suoi spasmi involontari. Incapace di reggere le responsabilità di una relazione di coppia, Tommaso è remissivo, codardo, evita un sano confronto, sente fremere dentro di sé uno spasimante desiderio sessuale che lo fa arrivare a dire: “Prenderei tutte le donne che incrocio per strada e me le farei come un animale, lì, subito!”. L’istinto animale di Tommaso ha radici nei traumi infantili, come dice il suo terapeuta, che insiste proprio sul processo, assolutamente necessario, di liberazione del fanciullo che è in lui. Viene mollato da Chiara, dopo una lunga relazione, e pur disperandosi inizialmente, fantastica subito su un ipotetico periodo di libertinaggi sessuali, immediatamente frenati dalle difficoltà con cui Tommaso tenta di approcciare al sesso femminile. Un sesso femminile pronto a tutto, che non nasconde più le sue carte, che le mescola, le rimaneggia, ci gioca, ma sa bene come arrivare al punto, e lo fa meglio di quello maschile. Tommaso comincia una relazione con Federica, la quale dona anima e corpo al confuso uomo di 40 anni, che sviluppa una vera e propria ossessione per il particolare: l’attaccatura dei capelli di Federica è troppo alta, una minuscola prominenza di carne presente sul labbro superiore è di troppo, in sostanza, lui lo aveva detto che non lei non era il suo tipo. Ha un rapporto complicato con la madre, nel quale Tommaso finisce per sfogare le proprie repressioni sessuali, redarguendola in continuazione sotto l’aspetto economico (lei gli chiede in continuazione soldi, pur avendo una pensione di tutto rispetto di 900 euro al mese). Fortunatamente c’è qualcuno che prova a farlo uscire dalla cappa autolesionista nella quale si è chiuso, per una sorta di rifiuto, ed è il momento di Sonia, una spregiudicata e selvatica femmina che spiazza Tommaso, sia per la sua verve sessuale che per la sua sfrontatezza verbale. È il momento di rincasare là dove tutto ha avuto inizio.
Seconda prova registica per Kim Rossi Stuart, undici anni dopo l’ottimo esordio con Anche libero va bene. Scavare dentro se stessi conduce al nuovo Tommaso, stesso nome del piccolo protagonista del suo primo film. Non è un film biografico, ma è innegabilmente un film-specchio, narcisisticamente libero (anche nella forma), sfrontato, audace. Il tipo di film che mancava da troppi anni nel nostro cinema, un film capace di affrontare pienamente e senza limitazioni di sorta il discorso dell’individuo, una lente d’ingrandimento sulle problematiche di natura sessuale, su l’esibizionismo coatto femminile, la deriva psicanalitica, il tormento adulto del maschio, la spersonalizzazione dell’uomo nella contrapposizione dei vecchi ruoli dentro l’angusta rete bucata delle prospettive di coppia borghesi. Disarmante nella sua rappresentazione della sessualità (alcune scene sono attentamente erotiche), nella sua scanalante obiezione assunta al buoncostume ipocrita indegnamente cristiano, nel senso più puro del termine. Le voglie di Tommaso sono riconducibili a una specie di erotomania solo a uno stadio superficiale, Kim Rossi Stuart, sceneggiatore in coppia con Federico Starnone, guarda ben oltre le semplificazioni tipiche di chi vive perennemente sulle armi delle proprie sovrastrutture mentali. Per comprendere a fondo questo film, e per goderselo anche nelle sue situazioni da commedia riflessiva socialmente utile, bisogna liberarsi da qualsiasi modello e avvicinarsi davvero ai tormenti di un uomo letteralmente messo a nudo, perché in fondo questo personaggio non ci è così distante, anzi, esso è la radiografia dell’uomo in stato avanzato di squilibrio emotivo, un uomo senza più punti di riferimento certi (quella madre che non c’è mai stata davvero e un padre in incognito), se non con le sue idiosincrasie patologiche. Le sue donne, Chiara, Federica e Sonia, interpretate rispettivamente da Jasmine Trinca, Cristiana Capotondi e Camilla Diana, sono il riflesso mappato sul suo status da emarginato sociale: una volta allergico alle relazioni impegnate, una volta alla “botta e via” tutto sesso e poco calore umano, una volta in piana e goffa solitudine. C’è da dire che Kim, pur apparendo a tratti ridondante nell’esposizione delle sue encomiabili capacità attoriali (soprattutto a braccetto con personaggi nevrotici), manovri assai bene le dinamiche interne e più delicate al ruolo del regista, i fondamentali sulla direzione degli attori non steccano per la seconda volta, riesce a far recitare bene persino Cristiana Capotondi (in una scena è quasi sconvolgente per rabbia e intensità), non offre molto spazio al personaggio di Jasmine Trinca ma quel poco le permette di manifestarlo assai bene, mentre Camilla Diana può essere considerata la sorpresa del film, disinvolta, faceta e arguta come e più di una Sabrina Ferilli al massimo della forma. Il contorno d’appoggio ai ruoli principali rivela delle scelte meno convincenti o perlomeno meno di spicco rispetto al personaggio-specchio e alle sue specchiate ipotesi amorose. C’è da dire anche che il personaggio di Tommaso, nelle sue accorate battaglie per l’affermazione della propria tormentata e dispiegata individualità, rimanda al Michele Apicella di Moretti, e di certo un filo, seppur sottile, li lega; mentre nelle atmosfere associate all’aspetto più onirico del film, anche per il modo in cui sta vicino agli aspetti più psicologici del personaggio, si possono percepire vaghe sfumature tendenti a voler catturare le magie di alcuni dei più psicologici film di Roman Polanski (quello de L’inquilino del terzo piano, per intenderci); ma è nel dolente ricordo di Marco Ferreri che tutto il retroterra sociologico si eleva a qualcosa che oggi, specie in Italia, non si ha il coraggio più di produrre: affrontare di pieno petto la psicologia dell’uomo, cosa lo spinge a compiere atti più e meno discutibili, dai più condannabili per una impudente, cattolicamente insostenibile allo stato attuale delle cose, forma di giudiziosa ipocrisia. Se c’è un film al quale Tommaso rimanda con maggior avvedutezza quello è Diario di un vizio (1993), nel quale Marco Ferreri mette al centro della scena del disagio di stampo asociale, incavato nella quotidianità inconcludente del girare costantemente attorno a se stesso, un inaspettato Jerry Calà in vesti tutt’altro che buffonesche, ma direi meglio impegnate, senza sfigurare.
Kim Rossi Stuart riesce a scavare altrettanto bene, come un bambino con la testa fuori dalla sabbia, che in età adulta non riesce ad afferrare il concetto che essersela scordata sotto può spedire istantaneamente il sangue al cervello.