La sua metà oscura prese a divorare a pezzettini il Creepshow del mese, incollato sulla vecchia sedia scricchiolante della vecchia dimora in cui non tornava da tempo immemore. “There’s always Vanilla” titolava uno degli articoli del nuovo Creepshow. Vi era tornato appena in tempo per la notte dei morti viventi. Uno schiocco d’orologio ancora e la città sarebbe stata distrutta. Erano le 4.04. Non prima dell’alba un’orda di zombi famelici colpiva le mura, facendo tremare le finestre. Era la notte più corta nella stagione della strega e a George non restava altro da fare: ingurgitare dissennatamente l’ultimo numero del Creepshow. Scheletri balbuzienti, scimmie assassine, serial-killer barboni, gli occhi diabolici del signor Valdemar sul retrocopertina e all’interno delle pagine a colori. George sapeva di avere i minuti contati e il frigorifero era ormai vuoto. Nel giorno degli zombi ad attirarli doveva essere per forza l’odore delle carni putrefatte in cantina. Ripensava a suo figlio Martyr, a come se lo fossero portato via gli oscuri cavalieri del deserto, e a come lui li avesse resi schiavi del suo male. Un male eterno, incurabile, quello del vampirismo. Un male che come febbre, lo stesso George, sentiva salire su di sé al cospetto dell’ultimo numero del Creepshow. Sapeva di buono il Creepshow, ma non ancora per molto. La metà lucente reclamava la sua parte, angustiata dall’oscura. Non era fatto col petrolio, come gli altri giornali. Piaceva persino ai morti, vivi. Perché sulla terra dei morti viventi non c’era spazio per gli uomini grandi e grossi. Sotto la sedia sulla quale si gongolava George, c’era una botola. Nel sotterraneo, al di sotto di quella stessa botola, c’era il resoconto delle cronache del diario dei morti viventi. Un tempo sapevano scrivere e avevano lasciato delle memorie. Caro George, con la pelle piena di rughe in volto, ti accingevi a mordere l’ultimo pezzetto del dannato Creepshow. Aprì la bocca con una certa flemma, gli occhi iniettati di sangue, le fauci secche, le labbra screpolate, del sangue rappreso agli angoli della bocca. Qualcuno dei suoi cari probabilmente sarebbe sopravvissuto su quell’isola a ridosso di Capetown, ma ora i morti hanno circondato la sua casa e stanno per fare il loro temibilissimo ingresso. Brutalmente, si sarebbero precipitati sul suo vecchio e stanco corpo, conchiuso nelle lacere vesti, per dilaniargli le carni. Era la notte dei morti viventi e la città sarebbe andata distrutta all’alba. Contava i minuti prima di addentare ancora una volta il Creepshow. Sbarrò gli occhi. Dalla botola spuntò il primo zombi che lo fece caracollare di colpo dalla sedia, poi si avventò con prepotenza sui suoi coglioni, strappandoglieli di netto. Esalò l’ultimo respiro dissanguando con un mezzo sorriso stampato sulle labbra, proprio come lo scheletro in copertina al suo giornale preferito. Era la festa del papà, lui, l’oscuro. I suoi figli, tutti morti, ringraziarono come si confà la sua metà appena illuminata dal primo fioco raggio di sole.