Sono un ragazzo tuttofare. Nipote del picchiatello di turno, idolo delle donne perché mattatore di Hollywood. Sono cresciuto circondato da donne, si dibattevano strappandosi i capelli, contorcendosi a terra come ossesse, per il peggiore dei divi meno opportuni, o più semplicemente opportunisti. Le colpivo istantaneamente col mio sorriso, le disarmavo con le mie audaci smorfie, le coccolavo con il mio eccentrico romanticismo di bulletto svitato alla corte dei simpatetici.
Fino a che non sopraggiunsero le folli notti col dottor Jerryll …
Il mio umore mutò di colpo sotto l’egida del malefico dottore, capace di controllare la mia mente con indebita sicurezza. Le mie gambe tremavano costantemente al cospetto delle sue pozioni magiche, ribollenti nelle antiche ampolle delle rovine di casa. Credeva fossimo lontani parenti ma non mi somigliava per niente. Rovinava le mie smorfie, ma non la mia faccia, confessai una volta nel corso di un’intervista. Il mio profilo di 8 ¾ visto allo specchio era ancora il migliore. Non tutto era andato perduto.
Nel periodo perso sotto la perniciosa influenza del dottor Jerryll vennero a trovarmi i sei magnifici Jerry annunciandomi che io sarei stato il settimo. Facevano ridere e cominciai a temerli. Mi somigliavano temibilmente. Me ne feci una ragione, la vita in fondo è stramba.
Fu così che decisi di farne fuori tre. Sul mio divano dovevano rimanere tutt’al più in due, con me come terzo incomodo. Salutarono dopo poche ore, una volta compresa la mia astuzia. Mi presero per un ciarlatano, nel dubbio dell’assassino. I giornali, del resto, non me ne avevano mai risparmiata una. Inventarono persino che attraverso le smorfie volessi prendere in giro gli handicappati. Il bello è che mi ci sono sforzato pur di riuscire a farne sempre di migliori. Una volta ebbi la sensazione di essere rimasto vittima di una paresi, quando ad un ricevimento, di fronte a un centinaio d’invitati, me ne uscì fuori una che non avevo mai sperimentato, dove ogni singola parte del volto andava dalla parte opposta a quella più vicina. Accadde tutto così all’improvviso e fu lacerante scoprire che in realtà non fece poi tanto ridere. Il suono fragoroso delle risate delle sit-com era di certo più rassicurante, per i comici a fine carriera. Anche i giochi di strabismo che mi dilettavo a fare mi riuscivano sempre meno bene. Sentivo gli occhi intrecciarsi oltremisura, ne ebbi paura e smisi. Cominciai a sentirmi come quelle controfigure che aspirano a diventare come le figure che vanno a sostituire nelle scene a rischio. Pensai di escogitare un delitto, soggiogato com’ero dal famigerato dottore. Ma ogni tentativo di diventare un omicida svanì nella goffaggine del nuovo vivere.
Cominciai così a fare il clown, persa ogni speranza di tornare a recitare. La televisione era diventata troppo volgare, il cinema troppo commerciale, il teatro troppo ripetitivo. Ricordai di essere un ragazzo tuttofare, qualsiasi soluzione poteva essere alla mia portata. Decisi così di tentare la carriera militare. Stranamente non fui ritenuto inidoneo e partii per il fronte smarrendo la retta via. Lungo il tragitto mi divertii a chiedere a tutti i passanti dove fosse finito il fronte, ogni volta con un’intonazione diversa, e ogni volta in maniera sempre più buffa; o forse era meglio ammettere goffa. Cominciai finalmente a sentirmi un vero idiota. Non aveva più senso spartire le mie colpe col dottor Jerryll.
Il fronte si faceva minacciosamente vicino. Non mi sentivo più giovane, non mi sentivo più un animale da palcoscenico, eppure avevo deciso di partire fingendo di voler fare la guerra. In fin dei conti ero un tuttofare. Mi misi il costume da clown e feci finta di piangere, colto improvvisamente da una crisi isterica e con una terribile voglia di tornare sui miei passi. Riuscii a piangere vistose lacrime utilizzando un collirio speciale dall’effetto immediato. Molte persone, in particolare anziani miei fan, tentarono di consolarmi mettendosi vicino a me in pose da selfie. E non mi riusciva proprio di continuare a piangere. Cominciai a tornare a dipingermi la faccia delle buone vecchie smorfie, riempiendo il loro ego di malcelato orgoglio. Erano riusciti nell’intento di farmi dimenticare il fronte, nella consapevolezza di non conoscerne la destinazione. “Bentornato picchiatello, qua la mano picchiatello”, uno che disse di essere un mio sosia così si presentò.
Ripresi la strada lungo il sentiero, quella che mi avrebbe riportato a casa. Dopo una serie di autostop piuttosto fortunosi (di questi tempi!) riuscii a tornare nella mia seconda casa: Las Vegas. Brillava anche di giorno nella sua magniloquenza. I miei occhi iniziarono a roteare neanche fossero delle palline scatenate nel bel mezzo di una roulotte dispensatrice di colpi di fortuna. Luccicava ogni cosa ma il clown che era in me mi fece desistere da qualsiasi fasto. Volevo ancora essere il re della commedia. Mi sarebbe bastato quel traguardo. Las Vegas era lì per me, ma mi sentivo bloccato. Non un passo avanti, né uno indietro. Poi improvvisamente qualcuno da dietro mi cinse le braccia dietro la schiena ammanettandomi: “Il fronte l’attende sir Lewis, verrà processato e giudicato in quanto disertore se si rifiuterà di seguirmi al comando più vicino”. Qualcun altro probabilmente avrebbe tentato di difendersi o perlomeno di dire la sua ma a me scappò soltanto una sguaiata risata, una di quelle che si ricordano negli annali della beota comicità. Fu talmente contagiosa che il burbero uomo appartenente alle forze dell’ordine cercò d’imitarmi, malamente. Ridevamo grossolanamente sputazzando residui di cibo solo in parte digerito. Una parte di me era convinta che l’avrei fatta franca. In lontananza avvistai il dottor Jerryll, rideva anche lui contorcendosi nelle budella. “Al fronte! Al fronte! Tutti al fronte!!!”, gridavo ormai in preda al delirio. “Scusi, è questa la strada giusta?”, dissi poi riprendendomi solo in parte dal netto incedere delle incontrollate risa. Gli indicavo un punto che era a metà tra l’entrata nel mondo dei balocchi e il sentiero di ritorno che mi avrebbe spedito in battaglia, io che senz’armi ho sempre e comunque combattuto tutta una vita.
Il fronte non era mai stato così lontano. Restammo là a lungo e fu in quell’istante che sentii di essere diventato il re della commedia, temuto persino dalla signora in nero con la tagliuzzante falce a tracolla, neanche fosse un fucile da sparare al fronte …