“Ma come, non sai chi era Milos Forman?” chiese Larry Flint al ragazzo ceco che ospitava in casa per via di uno scambio culturale scolastico. Il ragazzo non sapeva cosa rispondere, sembrava essere in sincero imbarazzo. Dato il tono che denotava una reazione platonica di stupore, credeva si trattasse di un politico, un esponente dell’Onu o addirittura un agente dell’Fbi. “Milos non aveva bisogno di mettersi in gioco dentro concorsi che lasciano il tempo che trovano. Tanto si sa come vanno a finire certe cose. E poi ai suoi tempi per diventare grande servivano più altre cose”.
Quella settimana, nella sua camera, non invitò la bionda con cui trascorreva gran parte delle ore della sua giornata. Era stata sostituita dal buffo ceco, il nuovo compagno di giochi, colui che non conosceva Forman. Gli amori dovevano essere messi da parte, come i giochi della Società Genitori Figli Scappati che tanto tempo e denaro gli avevano fatto perdere anzitempo. Larry non vedeva i suoi da almeno un mese, erano fuori per una sorta di gita di piacere. Che fare col ragazzo ceco che non conosceva Forman? “Non può non conoscerlo” ripeteva tra sé, perché sarebbe come non conoscere Wolfgang Amadeus Mozart, il Visconte di Valmont, Francisco Goya o Andy Kaufman. Andò a pescare delle foto da un album impolverato nascosto dai suoi genitori in cima all’armadio dove erano stipati tutti i suoi vestiti e trovò la foto di suo zio Randle Patrick McMurphy, colui che amava discorrere delle bellezze della vita in compagnia di uno splendido cuculo. Il ricordo del suo amato zio lo fece trasalire, inducendolo a mettere sul giradischi un album jazz, un indimenticabile ragtime sincopato di fine Ottocento. Il ceco cominciò a muoversi, il ritmo sorprendentemente lo coinvolgeva. Fu in quel momento che qualcuno bussò alla porta. Toc toc. Chi poteva essere a quell’ora della notte? Milos Forman? Larry aprì la porta con accortezza e scorse suo padre, con quegli occhiali da vista giganti che contraddistinguevano il suo volto in maniera stupefacente. Non lo si poteva non riconoscere. “Siete tornati senza avermi avvisato?” disse come spaventato. “Il tempo era cambiato e ci siamo stancati. Un mese di vacanza può essere più che sufficiente. Per stanotte abbiamo degli ospiti, nuove amicizie conosciute in viaggio. Abbiamo organizzato un piccolo torneo di poker. Che fate, partecipate anche voi?”. “Veramente, papà, io stavo ascoltando il ragtime …”, disse il figlio deciso nel tentativo d’isolarsi ulteriormente. Richiuse la porta, comunque sorridente. Il ceco chiedeva cosa fosse successo. Niente di speciale. Voleva godersi quel momento e non pensare all’ossessione dell’asso di picche che ogni volta non voleva saperne di uscire dalle carte che gli capitavano sottomano. Perché in fondo lui la sua vita la voleva cambiare dando un taglio netto a tutte quelle spiacevoli situazioni trascorse durante l’adolescenza. Il solito bullismo, l’emarginazione sociale, le conseguenze di una follia collettiva che rivelava un profondo malessere sociale. Lui, del resto, stava per diventare un ometto adulto. Mentre pensava tutto questo il ceco lo guardava neanche fosse l’ultimo degli inquisitori, con un’espressione allarmata di ammonimento. Non riusciva a penetrare nei suoi ragionamenti e la stanchezza lo colse al momento del passaggio del brano più bello del disco. Larry abbassò il volume contrariato. Bussò alla porta anche sua madre per un saluto veloce, abbronzata come mai prima d’ora. Anche lei era bionda e bella quasi come Andula, la fidanzata slovacca. Nella sua vita diverse cose coincidevano con quelle dei film del regista ceco. La sua filmografia era una guida utile alla causa Flint. Lo fece presente al suo ospite che invece aveva cominciato già a russare. Rialzò il volume del suo ragtime. Non si svegliò. Doveva essere davvero stanco. Ciò che l’occhio non vede al cuore non duole. Doveva essere un detto di quelli diffusi. Le Olimpiadi erano vicine, il suo sogno era quello di prendervi parte come saltatore di ostacoli. Il provino a Broadway per il musical Hair lo attendeva la settimana successiva anche se non aveva mai recitato davvero su un palcoscenico. Tutto ciò sarebbe accaduto il giorno dopo la partenza dell’amico ceco, al quale avrebbe fatto conoscere Milos Forman, se solo avesse trovato una cineteca con i suoi film. Lui lo avrebbe amato e lo avrebbe salutato con vasta gratitudine. Mentre pensava a tutto questo, lui aveva preso a russare più forte. Doveva essere stanco sul serio. Fu solo allora che decise di smorzare la musica, nel tentativo di mettersi a letto. Era quasi mezzanotte. Decise di non spegnere la luce. Gli occhi si sarebbero chiusi ugualmente e avrebbe sognato di qualcuno che volò sul nido del cuculo. Non c’era bisogno di fare nomi. Intuendone il motivo, avvertì un moto di sollievo.