A Quiet Passion

Emily Dickinson cresce sotto l’autorità paterna nella casa di campagna nel Massachusetts, ostinatamente non piegata ai doveri dei rigidi dogmi calvinisti dell’epoca. Sin da fanciulla adolescente, Emily, che diverrà una nobile e famigerata poetessa americana, vi oppone la propria resistenza di donna fieramente impegnata e ligia al dovere di umana pietas – perché la pietà non dovrebbe far pensare a distinzioni di religione, sesso, razza – nei riguardi dei propri simili e di quella stessa famiglia dalla quale potrebbe ma non vuole, fino in fondo, staccarsi. Chiede il permesso al padre per poter scrivere poesie di notte, fra le tre e le sei, ricercando nel silenzio dell’apparente quiete del mondo, il motore della propria creatività, coscienziosamente incline alla ricerca del vero, prima ancora che del bello.

Il film dello sceneggiatore e regista inglese Terence Davies cerca direttamente il bello, avendo in pugno il vero, negli interni e negli esterni degli ambienti degnamente raccolti attorno agli ideali della poetessa, trovando la ragione della poesia nelle ombre dell’esistenziale percorso che divinamente racconta, accompagnato da un cast – e da un team – di eccellenze: dalla protagonista Cynthia Nixon (la Dickinson adulta) alla di lei adolescente (Emma Bell), dal gradito ritorno sul grande schermo del grande Keith Carradine (il padre Edward Dickinson) a Duncan Duff (il sanguigno Austin, fratello di Emily), da Jennifer Ehle (Lavinia Vinnie Dickinson, la sorella) a Catherine Bailey (la buffa amica che ama corteggiare e farsi corteggiare con senso del ridicolo) e via dicendo. Tutte eccellenze che si dividono fra il dolore, la pietà, il pianto e il riso, un miscuglio di elementi che il regista di Liverpool dosa con sapienza e acume da maestro navigato – come le stesse poesie della Dickinson che qua e là disegnano per gradi la traiettoria del film –nel mutare del sentimento e del costume a cavallo tra varie epoche. Ad emergere in tutta la sua forza espressiva vi è un film ad alto grado di autenticità per interpretazioni, caratteri, toni, scenografie, costumi, nonché per la maniera in cui cattura la luce – assolutamente da statificare il lavoro del direttore della fotografia Florian Hoffmeister – naturale negli interstizi fra un passaggio e l’altro del tempo, nel quale i personaggi si muovono elegantemente senza temere i pericoli dell’incombente futuro di un mondo, di un’epoca, imbruttitasi troppo rapidamente. Emily ne prende nota e lo specifica in una delle scene più toccanti del film, che da par suo ne ha diversi, specie nella seconda parte, quella nettamente più drammatica; contrariamente alla seconda, nella prima si ride grazie all’ironia con cui le donne del film si confrontano nel tentativo di analizzare meglio la confusione che le invadeva, dando l’impressione di essere uscite a tratti dalla penna di Jane Austen.

A Quiet Passion ci fa misurare magistralmente con l’anima di un’epoca apparentemente distante dalla nostra, facendoci addentrare nella psiche, nel disagio e nei tormenti evocativi della poetessa – basti vedere in che modo Davies decide di evocare i fantasmi più vicini alla Dickinson, con che classe e con quale stile. Poteva uscirne fuori qualcosa di eccessivamente didascalico, agiografico e teatralizzato, come spesso capita d’imbattersi in tv e al cinema riguardo biopic, e invece Terence Davies ne ricava, come solo i grandi maestri della storia del cinema sono capaci di fare, una sorta di testamento spirituale vigorosamente ribelle e dolorosamente poetico, spiritosamente affranto e incantato al cospetto dell’inafferrabilità del presente di ogni epoca.

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