Un resort di lusso sull’oceano. Un’oasi di pace fuori dal mondo. Una dimensione di armonia con l’universo, lontana dagli obblighi in via cautelativa. La spiaggia dove finiscono i coniugi Prisca e Guy, con i loro figli, Maddox e Trent, e in compagnia di altre persone, ciascuna con le proprie tare psicosomatiche, non sembra avere eguali in fatto di paradiso terrestre. Molto presto però, su quella insenatura naturale, il tempo sembra scorrere in modo diverso rispetto all’ordine dell’universo. I bambini crescono rapidamente e gli adulti invecchiano precocemente. Le future manifestazioni di disagio emotivo o di malattia bussano alle porte del finto benessere con disapprovante ostinazione. Gli eventi si susseguono indiavolati, fino a che il giorno non volge alla sera, e poi la notte all’alba del nuovo giorno. Ha colori tenui e fa affiorare risorse impensabili.
Il nuovo film di Shyamalan è tratto dalla graphic novel francese “Sandcastle” di Oscar Lévy e Frederik Peeters e riprende saldamente tra le mani le peculiarità del suo cinema: minacce oscure e apparentemente ingovernabili che destano il caos nel mondo o presso microcosmi dove la forza la fa l’unione tra poche persone, ribaltamenti destabilizzanti di situazioni di ordine apparente in condizioni di assoluto caos. Elementi di designazione di una poetica thrilling capace di ribaltare le convenzioni con parsimonia e inventiva non esente da invettive di natura sociale: il disegno studiato a tavolino da poteri talmente forti da potersi permettere di disporre piani oscuri nei riguardi di esseri umani destinati a fungere, in un modo o nell’altro, da cavie, non può non richiamare la situazione che a livello internazionale stiamo vivendo.
Nel caso di Old è lo spazio aperto, in pratica il nulla, a costituire un pericolo. Un po’ come accadde con Hitchcock in “Intrigo Internazionale”, dove le scene più ad alto impatto emotivo si scatenano su spazi aperti, dove i personaggi che si muovono come figurine su uno sfondo in conflitto, dovrebbero essere al sicuro. Da sempre, il regista manovra materie incandescenti per mezzo di misteriose inquietudini che uniscono il terreno all’ultraterreno anteponendo al disegno di accanimento psicofisico, la presentazione di un mondo concretamente riconoscibile. In diversi suoi film questi elementi si uniscono generando un impatto che si ripercuote a livello sociale, non soltanto verso un dato individuo, anche quando in certi casi è una comunità ad essere depositario di un segreto o di un mistero. “Old” si fa largo nella memoria cinefila in un susseguirsi incalzante di colpi di scena, ad alto impatto emotivo. L’avvicendarsi di situazioni di disarmante angoscia e ribellione implosa, appaiono però come degli shock programmatici, a lungo andare meccanici, messi lì nel regno del caos per assolvere il compito di una suspense che si pregia del tempo, vorticando contro lo stesso nel tentativo di restituire un’adrenalina che grazie alla genialità del meccanismo può dipanarsi senza l’urgenza di fermarlo. Però non rallenta e se lo fa finiamo per non avvertirne il salvifico pregio. Assi di dialogo cosciente tra gli interpreti assicurano un buon livello di mediazione tra il ponderabile e l’imponderabile, come da copione in un film di Shyamalan. La sua filmografia è esemplare su questo frangente: la realtà e lo spazio metafisico uniti da un unico denominatore, fino ad annullarsi a vicenda, destinati a comunicare dentro un asse di verticalità capace di assolvere il compito riflessivo. Un precetto che si rafforza nell’ottica dello spettacolo cinematografico che può e deve essere fatto anche d’intimità, di spiritualismo, di connessione con gli ambienti circostanti, per una più profonda comprensione dell’essere.