Paris 13Arr.

Les Olympiades. Quartiere nel XIII Arrondissement di Parigi. Emilie incontra Camille, che è attratto da Nora, che incrocia il cammino di Amber. In questo intreccio di amorosi destini, il bianco e nero immersivo di Paul Guilhaume dona il giusto risalto alla rarefatta coerenza architettonica del quartiere, caratterizzato da alcune torri, in omaggio alle olimpiadi invernali di Grenoble del 1968. Emilie vive in un appartamento di proprietà della nonna, chiusa in un ospizio e lavora in un curioso call-center; Camille insegna a scuola ma sta per proiettarsi verso la gestione di un’agenzia immobiliare e vive l’amore alla giornata, senza l’urgenza di dover definire le occasioni relazionali; Nora è una studentessa fuori corso e fuori sede, viene da Bordeaux ed è piena di vita, si avventura alla ricerca sia dell’amore che del lavoro con sfrontata saggezza, facendo tesoro di alcune esperienze negative che inevitabilmente le segnano il cammino; Amber fa la cam-girl e dietro ad un’estetica porno cela delle ferite che possono essere rimarginate solo dall’incontro con un amore di concimante sincerità.

La vita è quella cosa che ti succede quando sei impegnato a fare altri piani, disse un certo John Lennon. Massima esemplare che riassume alla grande le peculiarità del nuovo film del regista francese Jacques Audiard che segue i suoi fragili, ma vitali personaggi, in una scorribanda dentro le opportunità che il quotidiano offre quando meno te lo aspetti, in incontri dettati dal caso. Ispirato a una graphic novel di Adrian Tomine, Les Olympiades (titolo originale) cattura l’imprevedibilità dei rapporti con una freschezza e una immediatezza di racconto esemplari, e una certa attenzione di sguardo, d’amor proprio e di prospettiva, nei riguardi non solo delle persone, ma anche degli oggetti e dei palazzi, negli interni degli appartamenti spogli, come se non fossero mai sufficientemente vissuti da coloro che li abitano. Sono giovani senza punti di riferimento, né lavorativi, né tanto meno sentimentali, quelli raccontati da Audiard. Non riescono a muoversi bene eppure sono molto mobili, in costante agitazione, in fermento. I loro appartamenti non sono abbastanza vissuti perché sono dei precari sentimentali, sempre in bilico sul crinale di scelte opposte ad altre scelte. Le loro abitazioni li raccontano meglio di quanto sappiano fare con loro stessi. E sono lo specchio di questa precarietà d’intenti che non li induce a fermarsi più di tanto in un posto. Vale lo stesso per tutti e quattro, specialmente per Camille, l’unico maschile, il solo che vediamo piangere con afflitta, composta immediatezza. Nora, dallo sguardo vivido, nonostante le reticenze, non è meno sfacciata degli altri ma non c’è una reale prospettiva, la chiarezza latita. Grava un’assenza più profonda che negli altri. Quella di Nora è una lacerazione capace di condurla ad una rivelazione che un poco ci si aspetta, scena dopo scena. Audiard non si preoccupa di anticipare, seppur con parsimonia, alcuni inevitabili sviluppi. Preferisce concentrarsi su quello che circonda e che dona singolarità e dinamismo ai suoi personaggi, per poi accompagnare il pubblico per mano dentro l’intima emotività dei loro platonici gesti. Esprimere quello che è un male generazionale in questo modo è anche una maniera per affermare con sicurezza che i contorni di questo dilemma non sono, per forza di cose, ben definiti. Non entrano praticamente mai in campo i genitori di questi ragazzi, incapaci di guardarsi con sincerità dentro le aspettative. Ed è dalla fermezza di certe scelte che possiamo comprendere meglio il taglio dato al film, scritto con il supporto femminile d’eccezione di Céline Sciamma e di Léa Mysius. Il doppio sguardo femminile, il lavoro a sei mani, l’esperienza di Audiard, destreggiatosi con abilità in generi diversi (il dramma sentimentale, il thriller, il western), la definitezza in controcanto della musica elettronica firmata da Rone, particolarmente azzeccata, concorrono a uniformare e compenetrare la disillusione con la plasmabilità sfuggente del reale. Noémie Merlant, Lucie Zhang, Jehnny Beth (pseudonimo di Camille Berthomier, leader della rock-band dei Savages), Makita Samba, sono i quattro indimenticabili protagonisti. Volti poco noti (a eccezione della Merlant, conosciuta nel ritratto della giovane in fiamme, diretto dalla stessa sceneggiatrice Sciamma). Ombre e volti lampeggiati sulle stesse facciate delle torri. Vorrebbero troneggiare ma non riescono. Però se la cavano, tutto sommato. E ci fanno tenerezza. Potremmo essere loro. E capiterà almeno una volta, nel corso della visione del film, di perdersi nelle olimpiadi delle occasioni da cogliere al volo, per viverle alla giornata. E’ il meccanismo che finisce per fare il film, costituendolo seduta stante. Il cinema di Audiard acquisisce una fervida leggerezza, capace di dar nerbo allo smarrimento di questa gioventù che smania affacciata sullo strettissimo palco della vita adulta.

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