
Questa è la storia di un imprenditore megalomane, di un’eccentrica regista di talento, di due divi di grande carisma, uno spagnolo divenuto famoso nel cinema hollywoodiano, e un argentino capofila del cinema e del teatro impegnato, e di una sceneggiatura che si preannuncia scoppiettante e ricca di colpi di scena. Già dai primi incontri e dalle primissime prove cui i due interpreti adempiono, all’interno di una sorta di spazio d’immaginario museale, si percepisce nell’aria la contesa, figlia di un ego incommensurabile. Si percepisce la deflagrazione. Il film che la coppia di registi argentini imbastisce, sembra essere proprio un lavoro sul tema della deflagrazione, dall’interno di un contesto in cui due egotisti che si detestano sono costretti a cooperare per il bene del film e per il prosieguo delle loro carriere, visto che le intenzioni di produttore e regista sono piuttosto ambiziose. Félix Rivero e Ivàn Torres hanno una concezione della recitazione agli antipodi e la regista Lola Cueva è particolarmente apprezzata perché, come ammette ad un certo punto, i suoi film nascono dall’elaborazione di un profondo disagio interiore. Si tratta, in sostanza, di un cinema cosiddetto d’autore. Humberto Suarez, l’imprenditore/produttore, crede profondamente in questa regista, forse perché ne ha sentito parlare davvero bene dagli addetti ai lavori, ha vinto dei premi e desidera naturalmente gli attori più ricercati del momento. In più, pretende che sua figlia, abbia un ruolo significativo (è protagonista di una delle scene più geniali del film, nella quale deve sottoporsi a una doppia prova di bacio passionale, davanti a una moltitudine di microfoni puntati sugli interpreti in scena, per amplificare la portata del contatto, con conseguenze esilaranti e un finale scoppiettante). La fortuna del film non potrà passare di certo nel tentativo di arginare le asperità di un’opposizione tra due uomini con una concezione opposta dell’approccio alla recitazione. La classica opposizione tra arte e mestiere. Cura dell’immagine ed intelligenza interpretativa. Esuberanza e misura. I due attori sono interpretati da Antonio Banderas (può non essere un azzardo dire che questa è la sua interpretazione più sorprendente e sfaccettata) ed Oscar Martinez (a livelli comunque alti). Alla regista presta volto e corpo una bravissima Penelope Cruz che riesce ad esprimere appieno tutti i tormenti e la pressione di una posizione sulla quale gravano tante responsabilità, il disagio di trovarsi in mezzo a due personalità che proprio non riescono a convenire ad un punto d’incontro. E Competencia Oficial (banalmente tradotto qui con Finale a sorpresa) s’incentra soprattutto sulle prove cui sono sottoposti gli attori protagonisti affinché calibrino al meglio l’intesa e l’affinità con i contenuti presenti nell’avvincente testo. Tra una prova e l’altra, si enucleano almeno tre o quattro scene di straniante, farsesco umorismo. Dentro questa dialettica d’incontro/scontro sta la forza del film, nella capacità di offrire un’alternativa a storie sul metacinema, concentrandosi sul delicato rapporto che intercorre fra regista e interpreti e in quelle sotterranee opposizioni ed ostracismi, cui spesso e volentieri si prestano gli attori, nel tentativo di primeggiare sugli altri, entrando in un’insana competizione sin dal primo incontro. Gaston Duprat e Mariano Cohn scelgono di osservarli con un taglio non propriamente commiserativo e con una patina di giudiziosa supponenza, senza lesinare oltretutto invettive su quel genere di registi che proprio per alimentare la credibilità in merito a quelle presunte sofferenze interiori, amano sottoporre i loro attori a dei tour de force talvolta degradanti. I due registi argentini prendono di mira così l’ambivalenza e l’opportunismo tipici di un ambiente dove la competitività fa parte del gioco e dentro a questo gioco, tutti, nessuno escluso, prima o poi dovranno essere in grado di recitare, dentro e fuori dal set. Persino il produttore viene ritratto in maniera ridicola, come un personaggio capitato nel cinema casualmente, che non sa nulla delle dinamiche interne e che presume di sapere cosa sia meglio per un film, nella convinzione che il colpaccio possa riuscire al massimo delle disponibilità già al primo tentativo. Produttori, registi, attori. Non vediamo il resto della troupe, se non qualche assistente d’ufficio, ma sono loro le figure nevralgiche del discorso. La sceneggiatura, scritta nuovamente da Andrés Duprat, sceglie di concentrarsi sulla relazione che intercorre fra queste figure e sulle loro avversioni mal riposte. La chiave della commedia dal cinismo grottesco risulta essere la migliore per centrare il bersaglio, donando alle scene migliori il giusto respiro dialettico, con dialoghi essenziali e alquanto efficaci, un montaggio senza orpelli, una regia che dona il giusto margine anche ai larghi e spaziosi spazi interni, giocando in alcune inquadrature con alterazioni di senso date dall’intromissione sorprendente del fuori campo, dell’inatteso, dell’assurdo, elementi propri di una formazione degli autori che non a caso abbraccia anche la video-arte.
Competencia Oficial è anche un film istruttivo, non solo una farsa sul mondo del cinema visto dal di dentro di un film “work in progress”. Lo è dal momento in cui arriva l’occasione della lettura del copione. La regista s’impunta sulla intenzionalità di come può essere pronunciata una battuta apparentemente insignificante. Può cambiare tutto l’intenzione, perché denota anche l’umore. Ed è proprio da quella dei suoi due attori che dovrebbe guardarsi anzitempo. E stare sulla difensiva tutto il tempo dalle mire del più divo dei due, che non a caso, alla prima lettura tenta di dare alla regista un suggerimento non di sua competenza. La competizione ha subito inizio. Gli sguardi, le occhiate, i dinieghi lasciano filtrare una certa tensione. È ufficiale: questo film è destinato a una sola risoluzione. Il classico finale a sorpresa. O meglio, un solo finale a sorpresa, senza la possibilità di deliziarsi il classico.