
Beau ha paura. Come a voler dire buh! Difatti, il pericolo si annida ovunque: dal ragno violino al vicino di casa, dal mendicante al terrorista armato. Ma il pericolo numero uno è la mente. E l’amore condizionato. Quello di una madre sopraffattrice. Di una donna menagrama che imprigiona la vita del suo unico figlio dentro un marasma ingovernabile. Un carosello di terrori irrealisti. Potrebbe essere più semplice ma non lo è. E allora Beau si perde, fottutamente, volontariamente. Dentro questo trip psicanalitico allucinato e destabilizzante, dentro questo sbobbinoso andirivieni tra la tragedia comica e uno sguardo orririfico, la penna e l’occhio di Ari Aster ci invitano, nello sconcerto estenuante, sorprendente e a lungo emotivamente piantagrane, a ribaltare le proprie convinzioni, capovolgendone lo sguardo troppo analitico. È così che una vita può finire, aprendo le acque, le tube di Falloppio, a nuove visioni. Per una volta, esterne, prima ancora che interne. E lontano dal supremo giudizio materno. Roba da mettere agli atti del pubblico ludibrio.