Respiravo Roma dall’alto del Rione Esquilino. Ogni tanto, uno stolto fra i tanti mi passava accanto e mi dava una leggera botta, cogliendo l’opportunità per presentarsi dicendo: “Permette? Rocco Papaleo!”. Restavo senza parole per qualche secondo, tant’ero assorto dal paesaggio della mia nuova città eterna, fino a che un giorno non decisi di rispondergli testuali parole: “No, se permetti, parliamo di donne!”. Fu così che cominciai a frequentare certi cineclub, circoli creativi e set. Erano così pieni di belle donne! Su uno di questi set scopersi il significato della locuzione thrilling. Presi a tremare. Il cinema faceva di questi effetti. Fu durante il viaggio da Trevico a Torino che conobbi Alberto Sordi. Che spasso! Solo che giunto a una certa età, dopo essere riuscito a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa, aveva cominciato a provare un sentimento di amore misto a odio nei riguardi della sua amata città, la stessa città in cui mi trovai anch’io, quel luogo dove cercavo di non cadere in una spietata concorrenza sleale fra uomini di mondo che si appoggiano agli stessi scampoli di lancio. “Caro Ettore”, un giorno disse, “C’eravamo tanto amati, ma oggi la gente di Roma non è più la stessa. La vera gente de Roma s’è data!”. Sul tragitto per tornare alla mia abitazione, ripensai alle sue parole. Quando rientrai a casa, Ruggero mi chiese: “Che ora è?”. Sai com’è, oggi è una giornata particolare. Tutti chiedono qualcosa, insistentemente, persino l’ora. Una giornata particolare, certo. Mi sentivo uno dei tanti brutti, sporchi e cattivi.
Credevo di puzzare, ma Ruggero aveva la capacità di farmi sentire sempre al posto giusto al momento giusto: “Ettore, tu sei l’uomo più pulito del mondo. Hai un solo grande difetto. Per motivi di gelosia, sei capace di alzare dei polveroni, ne fai dei veri e propri drammi! Questa sera sei fortunato che non c’è Gigliola”. Non ha nemmeo telefonato. Chissà con chi sarà uscita, pensava che io pensassi. Sì, come no. Caro Ruggero, quanta tenerezza mi susciti. Mentre mi parlava, s’era già sistemato sulla sedia girevole poggiata alla scrivania del nostro computer. Io nel frattempo mi ero già fatto una tisana, mentre provavo ad immaginare come poteva essere la più bella serata della mia vita. La luna era di un giallo caldo, esprimente al meglio una disdicevole passione d’amore. Avevo detto a mia moglie che quella settimana avremmo avuto bisogno di lavorare io e Ruggero. Eravamo decisi a farci strada nell’ambiente. E per certi aspetti, c’eravamo già dentro. Fu proprio in quel momento che Ruggero mi chiamò per dirmi di un’intuizione delle sue: “Ettore.. Senti questa! C’è un arcidiavolo che giunge sulla Terra perché vuole raggirare un certo Capitan Fracassa, impedendogli di raggiungere il tanto agognato mondo nuovo. L’arcidiavolo incapperà però nello splendor, il cinema che ha il potere d’intrappolare nello schermo chiunque incappi nelle sue grazie. Capitan Fracassa potrà vivere felice e contento burlandosi del diavolo nel suo mondo nuovo, ballando ballando da mattina a notte inoltrata”. Avevo appena acceso una sigaretta. “Vuoi ballare?”, mi chiese. Lo guardai perplesso. “Ruggero, penso tu abbia bisogno di dormire. Riprenderemo domani. O al limite, fatti una fumata col tuo amico Ettore. A proposito, hai cenato?”. No, non aveva cenato. La cena era un optional per Ruggero, a meno che non ci sia già pronto un bel piatto di maccheroni! In tv davano I mostri. Lo vidi fino a che la sigaretta non si smorzò del tutto. Fuori aveva cominciato a piovere. Coglierò il momento favorevole, conscio della possibilità di una vera e propria congiuntura, pensai. Mi sdraiai sul divano e abbassai le palpebre degli occhi, immaginando di essere un regista famoso. Inviti a galà, anteprime, fasci di luce argentea che invadono il tuo red carpet. Forse era giunta l’ora della buonanotte, ma dalla terrazza sembrava provenire un vocio indistinto. Il divano era troppo comodo, non mi sarei rialzato per nulla al mondo. Che parlassero pure i fantasmi! Ho imparato a conviverci col tempo. Il russare di Ruggero cominciò gradualmente a ricoprirlo, nonostante la porta della sua stanza fosse chiusa. O forse soltanto accostata? Bah, poco importa. Il ticchettio dell’orologio saliva di tono, carezzandomi i rimbambiti timpani. L’indomani avremmo accolto le nostre famiglie: Mario, Maria, Mario. Ce n’era uno di troppo, forse. Mi sentivo particolarmente stanco. Che bello poter pensare di non esser mai diventato quello che sono. Il cinema fa di questi scherzi? Un’ora in più di sonno rispetto al solito. Solo una, mi chiesi testardamente. Di solito, a quell’ora avrei messo un film. Ma avvenne tutto rapidamente. Le prime luci dell’alba attraversarono lo studio, poi il salone, quindi il divano dove mi ero scompostamente addormentato. Poi, un raggio di sole andò a sbattere sul mio volto, un istante prima di un libro che quel birbante di Ruggero fece cadere sul mio corpo beatamente disteso e felicemente assopito. Si trattava del Romanzo di un Giovane Povero. “Questo sarà il soggetto del nostro primo film”, disse con sfacciata sicurezza. “Che strano chiamarsi Federico non era il modo migliore per cominciare”. Spalancai gli occhi. Non era il modo migliore per cominciare, o per ricominciare. L’idea di essere tornato agli inizi mi diede ampio spirito, direi quasi, una nuova vita. Ci mettemmo al lavoro, senza più smettere.