Astrid è come una ninfa o una dea che cerca di ascendere al cielo per poter divenire un astro del cielo stesso. I riferimenti ai miti sono importanti: Astrid come novella Proserpina o Euridice moderna che dall’inferno del mondo vorrebbe ascendere in questo Eden metafisico di cui lei vede e sente solo i suoi messaggeri.
Astrid è una ragazza che vorrebbe dire tanto, vorrebbe inondare il mondo di parole, ma decide deliberatamente di non farlo. Lei che avrebbe così tanto da dire resta in silenzio ed è un silenzio immobile quello in cui ci fa piombare. È costretta a dover subire tutta la “tracotanza” e tutte quelle “pesanti” parole e quei discorsi senza senso delle persone che le sono accanto. E quindi decide di fuggire/partire.
In questo mondo moderno, in cui viviamo, fatto solo di parole sparse nell’etere in cui ognuno di noi si sente democraticamente libero di dire la propria, si torna ad apprezzare il pensiero di dover rimanere in silenzio e pensare un tantino di più.
Astrid è una profetessa di un nuovo mondo, ancella di un culto in divenire.
La scena del panino: una forzata e auto-imposta flagellazione di se stessa. Astrid ingoia tutta la “merda” di questo mondo moderno. Si depura. Accoglie tutto ciò di cui è satura e non ne vuole più. Dopo essersi purificata si rende conto che può passare ad un livello successivo dell’essere e adoperarsi per compiere una fuga dalla realtà.
Federico Mattioni ha cercato di fare un film senza parole, o quantomeno poche. In alcuni momenti il film diviene “lirico” e poetico e l’uso delle parole sarebbe stato solo superfluo. La fotografia è immensa, bellissima, vivida, tanto da sembrare di prendere forma aldilà dell’immagine. Ma è con la regia attenta che lui ha raggiunto l’obiettivo che (forse) si è posto. Cioè quello di fermare in molteplici istanti la vita di una giovane nel punto massimo e anche critico della sua crescita fisica e morale. Quel punto focale che “inquadra” la sua bellezza lucente. Attraverso numerosi primi e primissimi piani (alcuni in piano sequenza e non) ha cercato di sondare la psiche e la psicologia, in primis, di Astrid, ma al contempo anche degli altri personaggi protagonisti come: il mimo, l’hipster, il ragazzo che si innamora di lei e la dolce messaggera dai tratti asiatici (Jun Ichikawa). Un cast corale (in veste di mentore) che accompagna la protagonista, la bravissima Nika Perrone, nel suo viaggio che è sia mentale che fisico.
Quello che si apprezza di Mattioni è che ha cercato di fare un film che si discosta da vari schemi, che cerca di evadere dalle consuetudini, ma soprattutto che cerca di raccontare una storia di crescita, di presa di coscienza di sé e di amore in maniera alquanto originale.
Film parenti (o comunque che io considero tali) :
Peter Weir Picnic ad Hanging Rock (1975)
Primi del Novecento. Due ragazze e studentesse australiane, durante una gita nella località del titolo, svaniscono nel nulla senza lasciare traccia. Onirico e inquietudine. Questa storia si è riecheggiata in maniera positiva nella mia mente mentre guardavo Astrid camminare, e compiersi così il suo cammino.
David Lynch Mulholland Drive (2001)
Quando Nika Perrone e Jun Ichikawa sono al pub e giocano con la pallina con luce elettrica, ricorda molto la scena a teatro mentre Betty (Naomi Watts) e Rita (Laura Harring) assistono alla performance di Rebekah Del Rio. Dolce, struggente ed inquietante assieme.
Terrence Malick La rabbia giovane (1973) o The Tree of Life (2011)
Hai immerso la storia di Astrid all’interno della natura e della realtà urbana di una Roma alquanto sconosciuta e non scontata, come la fuga dei ragazzi innamorati in Badlands, che scappano nelle foreste incontaminate dai loro crimini. Il senso di vuoto che ho percepito in certe scene (spesso in esterni) mi ha fatto tornare alla mente il rapporto tra il personaggio e il luogo-oggetto che si hanno spesso nei film di Malick.
Recensione scritta da Orazio Ciancone.